LAGO D'INFERNO

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La leggenda del lago d'Inferno.

Erano ancora quei beati tempi in cui le nostre montagne vedevano passeggiare e vivere tra i dirupi i Santi Romiti, compreso Trona nell’alta Valsassina. Questi Santi sarebbero rimasti sconosciuti se non avesse pensato il diavolo ad andare a tormentarli con le sue astuzie. Ma i Santi sono i Santi e il diavolo è il diavolo. Trona l’attendeva per la vicina estate, perché l’aquila aveva spiccato un gran volo ed era venuta ad avvisare il Santo che il demonio scendeva scornato ed arrabbiato per la Val Masino e stava risalendo la Valle del Bitto. I Santi allora parlavano con gli uccelli e quando Trona udì della venuta di satanasso non si spaventò ma, fidando in Dio, ebbe su per giù questo pensiero: dev’essere un diavolo poeta costui, se ama passeggiare tra queste montagne così belle.

E messer satanasso, preceduto da un temporale e da un saettare mai visto, giunse ai primi pascoli. Quei fulmini, pensavano i vecchi, non avevano mai puzzato di zolfo come in quei giorni: brutto segno. E il brutto segno venne. Il diavolo, di notte, assaliva l’alpe e buttava terra nei calderoni dove il latte bolliva per essere formaggio. Di notte le vacche cozzavano o fuggivano come inseguite da una muta di cani. Durò tutto il tempo dell’alpe giù al Varrone. Poi vi nevicò sopra e, venuta l’estate, il demonio ridiscese per ricominciare il gioco.

Questa volta i pastori con vacche, asini, calderoni e tende se ne tornarono su alla bocchetta dove Trona li attendeva. Quando Trona li scorse, scese loro incontro: «La pace dei figli di Dio sia sempre con voi». «E così sia – risposero i vecchi – così sia se satanasso non ci danneggiasse i formaggi e non facesse venire la mattana alle nostre vacche. Dacchè quello s’è ficcato tra noi, latte più non se ne cava dalle nostre bestie e senza latte i figli e le donne non ci campano».

«Figli, lo so – e si toccava lui pure la bianca barba, triste e pensieroso – lo so del male che vi reca, delle bestie zoppate e di quelle cadute, dei formaggi cagliati e di quelli muffiti, ma voi, figli della montagna, avete fede in Dio?». I vecchi, che sfiduciati riguardavano a valle, s’ersero contro il soffiar del vento e fissarono i loro occhi lucenti ed azzurri in quelli del Santo. «Se avete fede – egli continuò – se avete fede, nel nome di Dio, Trona combatterà per voi e per i vostri figli».

Gli uomini ridiscesero sperando. Le donne quella notte accesero alla nuova alpe i lumi. Quando si levarono all’alba mirare le Alpi vicine, tutte intrise di rosso per il sole che nasceva, videro Trona, con il suo bastone di pellegrino, camminare tra i dirupi verso il Pizzo Varrone dove s’era annidato il demonio. Un nuvolo di falchi si levò sciamando al suo passaggio e la sorgente fu punta dal primo raggio e cantò garrula correndo a valle tra pastori e vacche.

La lotta fu dura. Satanasso dalla cima scaraventava sassi e macigni sul santo. I pastori, nascosti tra gli anfratti, assistevano pregando, quando improvviso un boato lacerò l’aria e fu tutta la montagna avvolta in un polverio. Il Santo aveva inciso sul lastrone del Varrone una croce, questo si spaccò a mezzo ed il demonio precipitò a valle trascinando con sé l’ultimo calderone rubato all’alpe. Fu un puzzo tale di zolfo che mai s’era annusato. Ma più terribile fu la caduta. Dove satanasso sprofondò si formò una buca e siccome pioveva e spioveva si colmò d’acqua e vi nacque un lago.

Andate lassù e troverete il Varrone squarciato ed ai suoi piedi il lago che non poteva essere chiamato che lago d’Inferno. Ma il monte del Santo è là a vigilare e ad ogni estate fiorisce di stelle candide e vellutate. In certe giornate di bufera l’acqua del lago ribolle. Dicono che sia satanasso con il suo calderone e che non possa sopportare la vista del monte che dal Santo prese il nome di Trona.

(Novella scritta negli anni venti dal professor Umberto Dell’Acqua e pubblicata allora dal giornale L’Italia)