Incontro con Marino Giacometti
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Sabato, durante l'ascensione al Gasherbrum I, una voragine si è aperta sotto i piedi di Simone Moro, che è precipitato per 20 metri in un crepaccio. I due alpinisti erano diretti a campo 1 e stavano superando il ghiacciaio.
In questo videomessaggio da Skardu, in Pakistan, ecco l'aggiornamento di Simone Moro a Orobie su quanto è successo e sulle condizioni di Tamara Lunger:
"Tutto è bene quel che finisce bene. Senza stare a girare troppo attorno al concetto, ieri siamo arrivati veramente a un soffio da un epilogo tragico e funesto sia per me che per Tamara. Eravamo intenzionati a passare due notti sulla montagna, raggiungere campo 1, dormire lì e il giorno dopo dirigerci verso campo 2.
Eravamo finalmente fuori dalla cascata di ghiaccio, avevamo superato anche l’ultimo grosso crepaccio e procedevamo sul plateau sommitale. Sempre legati perché sapevamo che i crepacci erano sempre in agguato e antenne sempre dritte ma il morale alto e la soddisfazione di aver superato tutto il labirinto di ghiaccio grande. Ma la giornata non era finita e quello che ci aspettava terribile.
Approcciando un crepaccio mi sono messo come sempre in posizione per assicurare Tamara che per prima lo ha attraversato e si è poi portata in zona di sicurezza, 20 metri oltre il crepaccio. Poi è venuto il mio turno e dopo una frazione di secondo, mi si è aperta una voragine sotto i piedi e sono precipitato. Tamara ha subìto uno strappo tanto violento che è letteralmente volata fino al bordo del crepaccio e io in caduta libera a testa in giù per 20 metri sbattendo schiena gambe e glutei sulle lame di ghiaccio sospese nel budello senza fine in cui continuavo a scendere. Largo non più di 50 centimetri, tutto buio.
Sopra Tamara aveva la corda avvolta intorno alla mano e gliela stringeva come una morsa e le provocava dolori lancinanti e insensibilità. Io ero al buio e lei lentamente scivolava sul ciglio del crepaccio. Il tutto complicato dal fatto che lei aveva le racchette da neve ai piedi. Sono riuscito con una mano a mettere un primissimo precario ancoraggio e, pur sentendomi lentamente scendere verso l’abisso ho avuto la lucidità di prendere la vite da ghiaccio che avevo all’imbrago e fissarla nella parete liscia e dura del crepaccio. Quella vite ha fermato lo scivolamento mio e la probabile caduta nel crepaccio di Tamara.
Da lì, senza entrare nei dettagli, ci siamo inventati il modo di uscire. Quasi due ore dopo. Contorsionismi e mille sforzi mi hanno permesso al buio e schiacciato tra due pareti larghe 50 centimetri e risalire in piolet traction tutto il crepaccio.
Tremolante e con mille contusioni ho abbracciato Tamara che piangeva anche dal dolore alla mano. Mentre salivo era riuscita ad organizzare una bella sosta di recupero e ad assicurarmi mentre scalavo i 20 interminabili metri di ghiaccio liscio. Siamo scesi al campo base che, già allertato e rassicurato via radio.
Oggi ho organizzato l'evacuazione con richiesta di accertamenti medici per entrambi. Oggi i dolori sono più forti e la mano di Tamara parzialmente insensibile e non utilizzabile."
Scrive Tamara Lunger, ripercorrendo quei momenti drammatici: "Ho fatto di tutto e di più, il tempo sembrava infinito e alla fine potevo scordarmi dei pensieri di morte, grazie a Dio! Tutti e due abbiamo lavorato al meglio per far venire fuori Simone... Siamo salvi adesso! La mano ha pagato fortemente, siccome ho tenuto appesi al pollice, per almeno 2 minuti 90 chili di Simone più lo zaino. Ho gridato come una persona che viene uccisa, e capivo cosa stava per accadere... Ho affrontato tutto il lavoro con una mano, tra fiducia e lacrime."
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