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TESTI DI PAOLO CONFALONIERI - FOTOGRAFIE DI GIACOMO MENEGHELLO
Il suo futuro è di sicuro in montagna. Libero sulle Alpi, quanto meno con la mente. Legato profondamente alla terra in cui è nato e cresciuto, Livigno, alla storia e alle tradizioni di questo lembo di Lombardia, ma proiettato nel mondo. Max Cusini, 24 anni, è un po’ come il papà Maurilio, che ha viaggiato tanto e imparato inglese, francese e spagnolo, ma pure tedesco e russo. «Con l’obiettivo di inseguire i sogni – riassume il giovane livignasco –, ma senza trascurare le cose importanti, a cominciare dalla preparazione culturale e formativa. Certo, io parlo soltanto inglese e tedesco, però sto cercando di mettere in pratica il suo esempio, istruzione in primis».
Cusini è sempre in montagna. Per il lavoro che fa, in estate il casaro e in inverno il maestro di sci, così come nel tempo libero. Percorre i sentieri di corsa, a piedi o con la mountain bike, fa parapendio e scialpinismo. È membro del Soccorso alpino. Ama le tradizioni di Livigno e delle terre alte in generale, quindi capita di vederlo sulla neve mentre fa telemark, oppure cantare con i giovani di «Sapore antico», a più voci e accompagnati dalle fisarmoniche. E poi «suona» la frusta.
«Anche quando sono in malga – confida Max Cusini –, tra giugno e settembre, 90-100 giorni senza sosta, ho sempre con me la frusta che avevo visto “suonare” la prima volta nel 2016 da un vero uomo d’alpe mio vicino a Laax, sopra Coira, in Svizzera. Ulrich Verginer, di Laien, a Bolzano, la utilizzava al posto della voce quando andava a prendere le mandrie al pascolo. Schioccava invece di urlare e le vacche tornavano in stalla. La tradizione della frusta è legata a usanze per scacciare i demoni, diffuse sulle Alpi. Quando ho bisogno di adrenalina, anche se mi trovo a oltre 2.000 metri di quota e sono sveglio dal cuore della notte, prendo la frusta e suono».
Certo che ce ne vuole. «Ci ho dedicato tanto tempo – confida il giovane –, ma queste pratiche che arrivano dal passato mi affascinano. Ha il manico flessibile, ricoperto di pelle di mucca, lo stesso materiale della frusta vera e propria. Ci si deve abituare, perché sfiorandoti la testa rischi di farti male. Ho imparato da solo a schioccare, tuttavia in altre zone è una tradizione insegnata ai bambini, per esempio in Sud Tirolo».
Un po’ come per il telemark. Max e tutti i componenti della famiglia Cusini amano lo sport, lo sci in particolare. La mamma Sabrina faceva gare di fondo, il papà è maestro di sci alpino, snowboard e bass (lo snowboard modificato che agevola l’apprendimento), e anche il fratello Fabio, 26 anni, è maestro di sci. Max è specializzato in telemark e insieme a padre e fratello è tra gli oltre cento istruttori con la divisa rossa e bianca della Centrale, scuola sci e snowboard nata a Livigno negli anni Cinquanta del secolo scorso con l’arrivo dei primi turisti.
Ecco uno dei sogni del giovane valtellinese: «Vorrei diventare un istruttore di telemark, maestro di questa tecnica dello sci alpino e scialpinismo ritenuta l’inizio della pratica dello sci come sport. Aspetto il master proposto dalla Fisi, la Federazione italiana degli sport invernali, e ci provo. Per me è importante, perché faccio profondamente mio il motto di questa tecnica: “Libera il tallone, libera la mente”. È stato il telemark a tenermi legato allo sci, dopo che da ragazzo mi ero stancato di gare e allenamenti. Ho riscoperto il piacere del gesto atletico, della libertà di muoversi sulla neve senza troppa serietà e tensione. Il telemark è una grande famiglia, un ambiente che ti fa stare bene».
Ci ha messo del suo la Skieda, l’appuntamento annuale a Livigno per gli appassionati di telemark, con il Telekids per bambini e ragazzi. «Un richiamo per tutta l’Europa – sottolinea Cusini – pure per i norvegesi, dove questo stile ha mosso i primi passi». Il giovane ogni tanto mette vecchi vestiti del nonno Severino, che in realtà non ha mai conosciuto, prende un bastone del padre dalla cantina, sci di legno o moderni e via: «Libera il tallone, libera la mente». Come quando su in alpeggio, in piedi dalle 3 per lavorare burro e formaggio, trova comunque un momento per «suonare» la frusta o per fare una corsa a piedi o in bici tra le montagne.
Con lo sci di fondo il legame è sentimentale, per via della fidanzata Francesca Cola, di Bormio, atleta della Nazionale juniores, ma quello della neve è il mondo ideale di Max Cusini. «Superato il momento di rigetto da ragazzo – è la sua analisi – ho ritrovato la voglia e la passione. Me ne accorgo quando faccio il maestro: è bellissimo riuscire a trasmettere questo attaccamento a uno sport, vedere i miglioramenti negli allievi, la crescita continua. Non ho dubbi su ciò che faccio: mi piace, e tanto, non mi pesa per nulla».
Le stesse passione e dedizione di quando Max Cusini sale in alpeggio: 90-100 giorni senza turni di riposo, festività. Una tirata unica a 2.000 e rotti metri di quota a lavorare latte, produrre burro e formaggio. Ancora una volta la tradizione della propria terra, ancora una volta formazione e sacrificio: «Ho iniziato a salire alle malghe a 12 anni, in valle Federia, vicino a casa, come aiutante. Due anni dopo la prima vera stagione, in trasferta a Tubre, in Sud Tirolo. Un’esperienza bellissima e anche tosta. Poi la Svizzera».
Diplomato all’Alberghiero di Bormio, a Laax il Comune gli paga un corso per casaro a Plantahof, punto di riferimento per la formazione nel settore. «Le lezioni erano in tedesco, non è stata una passeggiata», ammette Max Cusini, che riconosce anche il merito di Silvan Casaulta: «È stato il mio ultimo capo e ho imparato tanto da lui». Di sicuro il sacrificio, come nella stagione appena conclusa all’alp Chaschauna, malga svizzera a 2.200 metri non molto distante dal passo Cassana, che a volte il giovane ha raggiunto in bici da Livigno. Sveglia alle 3, lavorazione del burro, poi del latte dopo la mungitura delle 4 e delle 16. «Il team era composto da due addetti alle 420 manze – spiega – e tre alla caseificazione: io, Francesca Pedroli di Grosio e Francesco Ruggeri di Bergamo. Abbiamo gestito il latte di 75 brune alpine, in tutta la stagione qualcosa come 50.000 litri, con la produzione di 500 chili di burro e 5.200 di formaggio. Quasi 1.000 forme d’alpe 75% di grasso».
Tanta fatica e belle soddisfazioni. Dice Cusini: «La più grande è quando entri in cantina e vedi tutte le forme che stagionano. Poi ci sono gli allevatori che ti hanno affidato le loro mucche e il loro latte, che sono contenti, così come i consumatori. Sai di fare le cose come ti è stato insegnato, anche per quanto riguarda la cura degli animali, ti sei preso a cuore la loro salute». Chi passa per l’alpeggio si ferma a guardare, chiede. «Arrivano anche da Livigno – sottolinea il casaro – nonostante il durissimo passo di Cassana. Tanti ciclisti partono dalla Germania per poi proseguire sul lago di Garda».
Il sogno di Max Cusini, il giovane che vive tra la candida neve di Livigno e il bianco latte delle malghe, è di fare il casaro negli alpeggi di casa: «Sarebbe bello, ma le difficoltà sono tantissime. Mi sa che resterò un frontaliero». Però, chissà, magari il desiderio è destinato ad avverarsi come quello dell’agosto 2020: «Ero al passo Cassana per un allenamento in bici. Vedo il posto e dico: “Sarebbe bello lavorare in una zona così”. Detto, fatto: mi hanno assunto proprio all’alp Chaschauna». Del resto la ricetta la conosciamo: libera il tallone, libera la mente. (1/Continua)
Paolo Confalonieri
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