Articolo

GRAN ZEBRU' E NANGA PARBAT. INTERVISTA A SIMONE MORO

25 Giugno 2013 / 11:50
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1284
Scritto da Redazione Orobie
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GRAN ZEBRU' E NANGA PARBAT. INTERVISTA A SIMONE MORO

25 Giugno 2013/ 11:50
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Scritto da Redazione Orobie

Riguardo alla domenica tragica sul Gran Zebrù e al sanguinoso attentato terroristico al Nanga Parbat, ecco l'intervista all'alpinista Simone Moro, realizzata da Emanuele Falchetti per L'Eco di Bergamo.

Una domenica terribile per l’alpinismo. Quasi un incubo. Perché, proprio come nei sogni più angosciosi, le fantasie peggiori hanno trovato il modo di concretizzarsi. Sei morti sul Gran Zebrù, in due cordate separate, ma precipitate più o meno nello stesso punto, e, a distanza di migliaia di chilometri, in Pakistan, undici scalatori uccisi al campo base del Nanga Parbat durante un attacco terroristico. Due mondi lontani, Alpi e Karakorum, che lo scalatore Simone Moro conosce bene.

 Moro, partiamo dalla tragedia sul Gran Zebrù: che idea si è fatto?

 «Le dinamiche puntuali ovviamente non le conosco e non può conoscerle nessuno. Ma la causa che lega questi incidenti – tra l’altro avvenuti nello stesso punto, ma coinvolgendo cordate impegnate su vie diverse e in diversi orari – mi sembra possa essere ricercata nel forte rialzo della temperatura con sbalzi davvero fuori dall’ordinario».

 Quindi cosa può essere successo?

 «Secondo le ipotesi che mi sembrano più accreditabili, in entrambi i casi, sia per la cordata in salita che per quella in discesa, uno dei componenti sarebbe scivolato trascinando con sé gli altri. La causa dello  scivolamento potrebbe essere legata a una placca di neve instabile oppure, soprattutto per il secondo gruppo di scalatori, uno zoccolo di neve sotto i ramponi che a quel punto non hanno più lavorato a dovere. In questi casi è indispensabile il sistema anti boot (e cioè anti zoccolo, ndr) oppure avere l’accortezza di dare un colpo di piccozza a ogni passo».

 Ma domenica sembrava, almeno apparentemente, una giornata ideale per la montagna.

 «Era una giornata spettacolare dal punto di vista meteorologico. Difficile sottrarsi al richiamo della quota. Personalmente avrei scelto però una via di roccia o misto. Salite su neve o ghiaccio con questi sbalzi climatici comportano assolutamente un’attenzione particolare alle temperature, oltre alla necessità di pianificare delle alternative. Se infatti ho uno zero termico a3.800 metri, è chiaro che, durante la notte, nemmeno sotto la vetta del Gran Zebrù ghiaccia come si deve. Quindi, in qualche misura devo considerarlo».

 Eppure i componenti delle due cordate erano esperti...

 «Non si può certo dire che fossero degli sprovveduti. Ciò che hanno fatto, soprattutto per i tempi di partenza e le modalità di progressione, rispetta le regole classiche dell’alpinismo. Su un versante come quello su cui sono avvenuti gli incidenti, stiamo parlando di pendenze vicine ai 45 gradi, la conserva (ovvero la progressione simultanea di tutta la cordata senza soste,ndr) può essere però paradossalmente controproducente: se uno degli alpinisti vola, è quasi certo che anche gli altri vengono trascinati. Per assurdo sarebbe meglio procedere slegati, ma è chiaro che anche questo comporta dei rischi. Quando si tratta di salite su neve e ghiaccio, a meno che l’inclinazione sia molto dolce, bisogna tenere le antenne sempre bene alzate ed eventualmente avere anche il coraggio di fare dietrofront».

 Veniamo al Nanga Parbat: perché questo attacco proprio nei confronti di alpinisti?

 «È chiaro: perché rappresentano gli stranieri. In più c’è la concomitanza del nuovo governo e quindi la volontà di destabilizzare e rifomentare la paura».

 Tra l’altro il Nanga dovrebbe essere anche la sua prossima meta invernale.

 «Sì e non credo che la cambierò. In ogni caso prima voglio capire cosa sta succedendo. Non sarà facile dileguarsi per gli attentatori. Quella del Nanga è una valle strettissima con un unico percorso che porta al campo base. È quasi impossibile che nessuno abbia visto il gruppo di terroristi. Anche le vie di fuga sono solo due: verso l’Afganistan oppure lungola Karakorum Highwaydove però è gioco facile individuarli».

 Un’ultima domanda su un altro incidente:quello che settimana scorsa ha visto precipitare il suo elicottero in Nepal e che è costato la vita a un passeggero. Ha capito cos’è successo?

 «Purtroppo non ne so molto di più. Siamo ancora nella fase investigativa ma, a quanto pare la causa sembrerebbe legata a un errore umano come capita nella quasi totalità di questi episodi. Il dato confortante è che il pilota Davide Spatola dovrebbe essere dimesso a breve e che anche gli altri due feriti non sono in pericolo di vita».