Articolo

Un viaggio fra direttissima e tagliafuoco

07 Marzo 2021 / 11:50
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Scritto da Matteo Zanetti
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Un viaggio fra direttissima e tagliafuoco

07 Marzo 2021/ 11:50
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Scritto da Matteo Zanetti

La chiamano la montagna dei sanpellegrinesi. Sarà per il sentiero che risale la val Merlanga dalla baita degli Alpini del paese, o per la direttissima che dalla stessa baita arriva diretta a toccare la croce solcando pendenze toglifiato e spezzagambe salendo su quel crinale a picco sul paese, sarà per l'impegno del GESP con il suo rifugio e per quelle luci sulla croce nei giorni di festa. Qualunque sia il motivo l'impronta sulla montagna loro, i sanpellegrinesi, l'hanno lasciata. Sull'altro versante il sole è il padrone ma le impronte del monte di Zogno sono ben più intime e nascoste, ad eccezione della linea tagliafuoco la cui firma traccia la costa che sale da Ambria. Il confine comunale però è diverso, più spostato verso la zona di Ruspino e di quel paravalanghe polveroso, dove vive una madonnina costretta a mangiare ogni giorno polvere e gas di scarico delle auto. Questa storia nasce da qui: un posto sfortunato, anzi diciamolo pure, proprio sfigato, lungo la strada provinciale prima dell'abitato di San Pellegrino Terme: una piazzola d'erba e rifiuti lanciati dalle auto di passaggio, triste e umida, sarà la copertina per cui questo libro non andrà giudicato, dietro la quale si nasconde agli occhi del guidatore che passa sulla strada, il mondo del versante est del monte Zucco. Un mondo selvaggio e silenzioso compreso fra il sentiero della direttissima e il sentiero della tagliafuoco. L'idea nasce nel periodo del secondo lockdown quando ancora una volta ci si trovava costretti a riscoprire i posti di casa per vivere qualche avventura nel rispetto di qualche strana regola. O forse sono solo gli uomini a nascere e le idee sono nascoste dentro di loro, pronte ad uscire nel momento giusto. Così dal monte di Zogno decidono di scendere tre ragazzi per scoprire se quella madonnina sfortunata sulla strada può davvero nascondere un mondo nuovo, timido e selvaggio. "Ӧna ӧlta an vegnìa sӧ anche de lé, ghera de rampinà mpó ma l'era bèla. Eh adès, la se sarà perdida la traccia". Queste erano state le parole che un vecchio, spinto da uno spirito nostalgico, aveva detto su in cima ai tre ragazzi in una domenica pomeriggio di qualche mese fa.

Giù in parte alla strada provinciale la traccia comincia ben evidente ad entrare nel bosco, si snoda fra qualche rete paramassi sfondata da tempo e sale sempre ripida verso tralicci e zone battute solo dai cacciatori. Giunti ad un gendarme roccioso la traccia battuta va abbandonata per consegnarsi nelle mani dello spirito della scoperta, mai illogico se si ha la sfrontatezza di ascoltare quello che ha da dirci. Si piega e si sale decisamente verso destra puntando un vecchio traliccio arrugginito appollaiato sullo spartiacque fra le due valli dello Zucco rivolte ad est sempre racchiuse fra la direttissima e la tagliafuoco. Erba "ìsiga" e calcare marcio sono gli unici abitanti di questa linea di salita, tenendo sempre a mente che si sale finché si ha la possibilità di fare anche il percorso a ritroso per lasciarsi alle spalle una via di fuga. Il dislivello si macina alla svelta fra labili tracce di uomini o di animali, fino ad un bianco ed immacolato traliccio: la quota segna circa 1000 mt. Salendo la roccia è migliorata ma ora ci si trova davanti ad una cattedrale di spigoli e diedri seminascosti dal bosco di carpini, betulle e faggi. Diventa fondamentale la regola sulla via di fuga, ma lo spirito della scoperta non cede e scruta, si muove, allunga gli occhi e le mani. Si aggira un primo torrione sulla sinistra e risalendo una valletta e qualche risalto di roccia, si giunge ad un terrazzo inedito sulla cima del torrione e alla base di un secondo ancora nascosto nel bosco. "Ce la possiamo fare ora", si dicono giustamente i ragazzi. La croce è la sopra, a sfoggiare un profilo nuovo e mai visto prima d'ora da quell'angolazione. "Chissà da quanto tempo non passa nessuno di qua", il piacere della scoperta. La salita si fa costantemente divertente fra piante e roccette, un ultima scogliera più verticale fa da piedistallo alla cima con la sua croce, un acropoli naturale per elevarsi da quella plebea boschiva e lasciarsi abbracciare dal cielo: lo "zucco" dello Zucco. E' vetta. La via dal paravalanghe alla croce esisteva, esiste ed esisterà, per chi avrà il desiderio di scoprirla, rispettarla ed apprezzarla. Intonsa da suole di scarpe, silenziosa, per pochi. Un vecchio tracciato che è pur sempre di cacciatori ma stavolta a caccia di emozioni. La montagna sarà dei sanpellegrinesi, ma i suoi segreti sono di chi li vuol scoprire solo per se stesso.